Al cosiddetto mal d’Africa ho risposto sempre con un po’ di scettiscismo, misto tuttavia a curiosità. Come può una terra straniera entrarti così nell’anima da causare addirittura un malore? Dopo averlo provato posso solo confermarlo, esiste e non c’è una cura!
Nonostante la mia meta nel continente africano sia stata particolarmente turistica e forse non autentica al 100%, mi ha scavato una fossa enorme nel cuore e lì si è insidiata con prepotenza. Colori, profumi, paesaggi ma soprattutto il popolo dell’isola di Zanzibar mi hanno infettata, come il peggior virus (mantenendo il filo conduttore di quest’anno appena trascorso).
L’isola, facente parte dell’omonimo arcipelago, è un contenitore che esplode di spiagge pazzesche, così particolari da affiorare e scomparire nel suo turchese e cristallino mare a seconda delle maree; alzando lo sguardo al cielo sembra di toccare il sole di giorno e luna e stelle di notte; la sua barriera corallina brulica di vita, offrendo scenari a cui non siamo decisamente abituati. Essendo il mio primo approccio a tale vita sottomarina ho vissuto l’esperienza con gli occhi di una bambina…ogni guizzo di qualche strano pesce, ogni movimento sinuoso di anemone, ogni ombra di stella marina sul fondale sono stati una forte emozione.
Il versante orientale dell’isola (Kiwengwa è una delle sue più note spiagge) è fortemente soggetto al ritiro delle maree, esponendo lembi di costa e barriera corallina; passeggiando lungo questi tratti la fauna marina è ricchissima, è in questa situazione che ci si può ubriacare della bellezza delle stelle marine affioranti!
Il versante nord-occidentale, invece, non subisce l’effetto delle maree perciò le sue spiagge di borotalco (così definite per lo strano effetto impalpabile della bianca sabbia sotto i piedi) sono sempre balneabili.
Oltre al fascino delle sue rinomate acque Zanzibar è una perla da scoprire in tutte le sue sfaccettature. La sua capitale multiculturale, con i suoi stupendi portoni arabi intarsiati, la sua foresta, habitat delle scimmie rosse, le sue coltivazioni di spezie, ma soprattutto il suo popolo. Sull’isola convivono i nativi del posto e tanti, tantissimi Masai, provenienti dalla Tanzania, ognuno con la sua storia, con i suoi sogni, ognuno con la simpatia ed il sorriso che in nessun’altra parte del mondo ho trovato. Sedersi in spiaggia e parlare della loro cultura vale più di qualsiasi altra cosa in questa terra!
Le mie Tips per voi:
Soggiorno presso il Coral Reef resort: modesta ma accogliente struttura a Pwani Mchangani. Più di qualsiasi altra cosa ricordo con le lacrime agli occhi l’intero staff.
Spiagge di Nungwi e Kendwa: sul versante nord-ovest per godere di giornate all’insegna del relax su spiagge enormi, bianche e dalle acque azzurrissime. Godetevi il tramonto, magari solcando le acque su un tipico dhow
Stone Town: capitale dell’isola; perdetevi nelle sue vie, entrate nei mille bazar, fermatevi nei giardini Forodhani (che offre ottimo street food), cercate la casa in cui è nato Freddie Mercury, visitate il mercato Darajani (esperienza per stomaci forti!)
Prison Island: a 30 minuti di navigazione dalla capitale è una vecchia prigione con un’attrattiva senza eguali, le tartarughe giganti delle Seychelles
Nakupenda: la più famosa lingua di sabbia in mezzo al mare, talmente grande da accogliere orde di turisti che, con il loro gruppo, montano braci e pranzano al sapore di aragoste e calamari
Mnemba Island: il paradiso per lo snorkeling
Kizimbani spice farm: incursione nel fantastico mondo delle spezie, con la possibilità di assaggiare frutti appena colti dagli alberi (non perdete questa possibilità, cocco e mango me li sogno tutte le notti!)
Con mal d’africa,
Maria Giovanna