La domanda che ci siamo fatti prima di partire: si può andare in Argentina e in Terra del Fuoco nell’estate italiana quando lì è pieno inverno? Si può. Il clima a Buenos Aires non è diverso da quello che trovate in inverno in una città italiana del nord; la Terra del fuoco è decisamente più fredda ma l’idea di essere lì, dove il mondo finisce, in pieno inverno, aggiunge qualcosa al vostro viaggio conferendogli una patina di eroismo; al nord dell’Argentina fa addirittura caldo! Climi diversi, dunque, scontati in un paese lungo, da nord a sud, 3700 km, tre volte l’Italia per capire di cosa stiamo parlando. Ovvio che un viaggio di poco più di due settimane non possa esaurire tutto quello che c’è da vedere ma da qualcosa bisogna pur cominciare! Con l’idea di tornarci, ecco cosa abbiamo fatto questa volta.
Si parte da Buenos Aires, naturalmente, e da Plaza de Mayo, la Casa Rosada. Un concentrato di storia di questo paese. Lo avverti. Poi, come in tutti viaggi, cominci a camminare e il resto ti rapisce e ti tenta. Il Teatro Colon, uno dei tempi della lirica mondiale, unico per la sua acustica, con gli interni simili a un palazzo imperiale francese. La Cattedrale metropolitana con la fiamma che arde perpetua per ricordare L’eroe nazionale San Martin. Il barrio popolare della Boca con le case colorate del Caminito e la sensazione che il calcio sia qui qualcosa di molto simile a una religione. Il Cimitero della Recoleta, una vera città dei morti. La bellezza impertinente del quartiere Palermo Soho e Palermo Hollywood con le sue due anime, quella artistica e quella elitaria e raffinata. Il piacere della cucina argentina, carne e vino rosso a gogò, la passione per il tango da vivere nelle case da ballo nel quartiere San Telmo in cui è nato. Il fiore meccanico che si apre e si chiude ogni giorno, raggiunge i 32 metri di diametro e pulsa come un cuore che non smette mai di battere.
Un paio di giorni nella capitale e poi Sud che più sud non si può! Da Buenos Aires 3000 km per arrivare nella Terra del Fuoco e trovare Ushuaia l’ultimo posto abitato prima della fine del mondo. Una terra ostile, fredda, dura, sferzata da un vento gelido a cui persone e animali rimangono aggrappati come possono. Qui finisce la strada, non si può proseguire, e in mare il faro Lesesclaireurs è l’ultimo segnale della presenza umana prima che l’oceano dell’Antartide ti inghiotta.
Di nuovo in volo per El Calafate, Patagonia, terra selvaggia, brulla, bellissima, terra di silenzi che ci ha regalato la più bella alba mia vista al mondo. Soprattutto terra di ghiacciai. Il Perito Moreno, patrimonio dell’Umanità, 30 km di lunghezza, 5 di larghezza, uno sbarramento di ghiaccio alto 60 metri che ti annichilisce. Il Perito Moreno è vivo, avanza fino a 2 metri al giorno causando il distacco di iceberg dal fronte alti come palazzi. Ed è in quel momento che senti la sua voce: un suono forte, a metà tra il tuono e il cupo avvertimento del terremoto, con l’eco che trasporta la rabbia del ghiacciaio per interminabili secondi. Senza che si riesca a capire da dove venga. E ogni volta che rialzi gli occhi e lo vedi, non riesci a farti una ragione di come la natura possa arrivare a tali vertici di bellezza inaudita.
Come il ghiacciaio Spegazzini che si raggiunge dopo un paio d’ore di navigazione tra iceberg azzurri sul Lago Argentino. Più piccolo del Perito Moreno ma con un fronte alto il doppio,120 metri. Maestoso, altissimo, impossibile da scalare.